di Salvo Barbagallo
Continuano a chiamarla “emergenza migranti” l’ininterrotta affluenza di fuggitivi raccolti dalle navi di soccorso che ormai stazionano (quasi) in forma stabile davanti alle coste della Libia. Lo stesso pontefice ha sottolineato che Quelli che arrivano in Europa scappano dalla guerra o dalla fame. E noi siamo in qualche modo colpevoli perché sfruttiamo le loro terre ma non facciamo alcun tipo di investimento affinché loro possano trarne beneficio. Parole sagge e cristiane che, purtroppo, non vengono accolte nel loro profondo significato.
Giorni addietro scrivevamo su questo giornale “È opportuno che la diplomazia italiana compia tutti i passi possibili con tutte le varie sfaccettature che rappresentano la Libia di oggi, ma gli accordi non servono a nulla se il problema non viene risolto a monte. Nelle attuali condizioni a trarre vantaggio dalla “buona volontà” dell’Italia volta ad “aiutare” chi governa quel Paese (in un modo o in un altro), sono soltanto le diverse e contrapposte “parti” libiche. Che hanno (alla fine e forse) ben ragione di approfittare delle elargizione che vengono date in cambio di una firma (poco affidabile) tracciata su un foglio di carta (…). Ora, quando nel giro di tre giorni, sono stati salvati nel Mediterraneo, a poche miglia dalla Libia, 8.5oo esseri umani, il termine “emergenza” torna alla ribalta, ovviamente affiancato alle parole “dovere dell’accoglienza” e “solidarietà”, senza guardare, però, ai pesanti risvolti..
C’è un passaggio nel volume “Nuovi figli di Enea. Geopolitica delle migrazioni: Mediterraneo e Balcani” (in uscita per le edizioni “Vox Populi – Il Nodo di Gordio”) che dovrebbe far riflettere: (…) Una gestione dell’emigrazione basata esclusivamente su slanci emotivi, o ancor peggio su sensi di colpa indotti per varie ragioni, rischia di provocare effetti disastrosi non solo sulla popolazione italiana ma sugli stessi migranti che si vorrebbe aiutare. Occorre partire dai dati di realtà. Che sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli. In Italia il tasso di disoccupazione generale ed ufficiale supera l’11% (ma quello reale è superiore, perché basta un voucher all’anno per risultare “occupati”) e quello giovanile è intorno al 40%. Dunque diventa difficile spacciare le migrazioni come risposta alla mancanza di manodopera. Falsa, ormai, anche la giustificazione che i migranti accettano lavori che gli italiani rifiutano (…).
Per quanto concerne i migranti che vengono sbarcati nei porti della Sicilia e della Calabria, è la condizione in cui versa oggi la Libia che difficilmente può portare a una via d’uscita: servono a ben poco i patti e gli accordi siglati dal Governo italiano sia con il Governo di Fayez Al Sarraj (voluto e imposto dall’Onu e avallato anche dall’Italia), sia con i Capi delle Tribù libiche. La questione non potrà essere risolta fin quando non viene effettuato un concreto “controllo” in territorio libico dei profughi che in migliaia sulle spiagge restano in attesa di salire sui barconi gestiti dai trafficanti, che poi li abbandonano appena in vista delle navi soccorritrici. La Comunità internazionale (euro mediterranea) non si è mai mossa in questa direzione, creando delle specifiche “commissioni” in grado di analizzare la provenienza dei flussi dei fuggitivi, e in grado di “regolamentare” gli stessi flussi all’origine. C’è da chiedersi il “perché” non sia stata intrapresa nessuna iniziativa in questa direzione. Non si è avvertita (almeno sino ad ora) “la necessità di una disamina più articolata della situazione attuale e delle prospettive euro-mediterranee per districarsi nel ginepraio delle complesse dinamiche geopolitiche, economiche e sociali che si intessono tra le due sponde del Mare Nostrum “.
Il risultato? Maggiore affluenza ora che il bel tempo favorisce la “migrazione”, mentre nei centri d’accoglienza in Sicilia le condizioni di vita diventano inaccettabili.